Purtroppo i casi di stalking si registrano non solo tra persone che non si conoscono o che si conoscono da poco, ma perfino tra familiari. In questi casi, la legge prevede pene più gravi, in quanto la condotta persecutoria proviene da persone che, essendo vicine alla vittima, hanno una migliore conoscenza di questa e, pertanto, possono provocare danni ancora maggiori. Lo stalking familiare, però, rischia facilmente di diventare qualcos’altro e, nello specifico, di mutarsi nel diverso reato di maltrattamenti contro i familiari. Come tutelarsi da questi delitti? Cosa fare davanti alla condotta persecutoria del familiare?
Sicuramente, in presenza di uno di questi delitti, non c’è un attimo da perdere: bisogna subito recarsi presso le autorità e sporgere denuncia. A seguito dell’entrata in vigore della procedura denominata codice rosso, la vittima di un sopruso in ambito familiare può beneficiare di una tutela immediata che le consentirà di essere assistita in poco tempo. Vediamo dunque come difendersi dallo stalking in famiglia.
Stalking familiare: quando è reato?
Parlare di stalking in famiglia può sembrare strano, in quanto è difficile immaginare che persone che vivono sotto lo stesso tetto possano perseguitarsi in qualche modo. In effetti, questo ragionamento è corretto.
Bisogna dunque distinguere la situazione di convivenza da quella in cui vittima e carnefice non vivano più insieme:
- se la condotta persecutoria o di vessazione psicologica è posta in essere da un convivente (familiare o meno che sia), allora sarà più corretto parlare del reato di maltrattamenti contro familiari;
- se la condotta persecutoria è posta in essere da un familiare non convivente (ad esempio, dal coniuge separato), allora si avrà il reato di stalking.
Secondo la legge, la normale pena prevista per lo stalking (da un anno a sei anni e mezzo di reclusione) è aumentata se il fatto è compiuto dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa.
Maltrattamenti contro familiari o conviventi: quando è reato?
Secondo la legge, chiunque maltratta una persona della famiglia o comunque convivente è punito con la reclusione da tre a sette anni.
Dunque, se i maltrattamenti (sia fisici che psichici) avvengono tra persone che vivono sotto lo stesso tetto, allora non si tratterà di stalking, bensì del diverso reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi.
Maltrattamenti e stalking: differenze
Rispetto allo stalking, la pena per il reato di maltrattamenti è più elevata; inoltre, il reato è procedibile d’ufficio, nel senso che chiunque può denunciare il fatto e le autorità possono intervenire anche di propria iniziativa.
Al contrario, lo stalking è perseguibile solo a querela di parte: dovrà dunque essere la vittima a sporgere querela, entro sei mesi dall’ultimo atto persecutorio.
Stalking familiare o maltrattamenti: cosa fare?
Sia che si tratti di stalking da parte di un familiare (ad esempio, dall’ex marito), sia che si tratti di maltrattamenti da parte di un convivente, la soluzione al problema è sempre la stessa: denunciare il crimine.
Molte persone vittime di maltrattamenti sono restii a recarsi dalla polizia o dai carabinieri per timore di subire feroci vendette da parte dei propri aguzzini. In realtà, a seguito dell’entrata in vigore della procedura denominata codice rosso, le vittime oggi sono maggiormente tutelate. Vediamo perché.
Codice rosso: cos’è?
Il codice rosso è una procedura d’urgenza introdotta dalla legge a tutela delle vittime di violenza domestica o di genere.
In pratica, ogni volta che viene denunciato un reato riconducibile ai maltrattamenti tra conviventi, allo stalking, alla violenza sessuale e, per estensione, a qualsiasi delitto commesso in famiglia, la polizia giudiziaria, acquisita la notizia di reato, deve immediatamente riferirne al pubblico ministero.
Il magistrato del pubblico ministero, entro tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato, deve assumere informazioni dalla persona offesa o da chi ha denunciato i fatti di reato.
Così facendo, il pubblico ministero potrà valutare fin da subito se sussistono gli estremi per chiedere al giudice l’emissione di una misura cautelare (tipo l’allontanamento da casa o il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima).
Il termine di tre giorni può essere prorogato solamente in presenza di imprescindibili esigenze di tutela di minori o della riservatezza delle indagini, pure nell’interesse della persona offesa.
In generale, poi, tutti gli atti d’indagine delegati dal pubblico ministero alla polizia giudiziaria devono avvenire senza ritardo.
Dunque, chi è vittima di stalking da parte di familiari oppure è vittima di soprusi all’interno della sua stessa famiglia deve farne immediata denuncia alle forze dell’ordine. Entro tre giorni si procederà ad ascoltare direttamente la persona offesa e, se il pm lo ritiene opportuno, può chiedere al giudice l’emissione di una misura cautelare ai danni dell’autore del crimine, quale ad esempio l’allontamento dalla casa familiare.