La presenza di figli può essere un alibi per lo stalker? La responsabilità genitoriale giustifica le insistenti richieste e pressioni sull’ex partner?
Anche le persone completamente a digiuno di diritto sanno cos’è lo stalking, cioè quel reato che punisce gli atti persecutori che creano timore e forte disagio nella persona offesa. Il più delle volte, le vittime di stalking sono persone che, in passato, sono state legate da una relazione sentimentale con il colpevole: è il caso degli ex fidanzati oppure dei coniugi che si sono separati. In queste particolari circostanze, cioè quando c’è stata una relazione affettiva, è possibile che i soggetti coinvolti nel delitto siano anche genitori di figli nati dal rapporto. Con questo articolo ti spiegheremo, in caso di genitori separati, quando vedere il figlio è stalking.
Secondo la Corte di Cassazione, la volontà di riavvicinare una persona con il pretesto di far visita alla prole non può giustificare una condotta molesta o minacciosa. In altre parole, rischia lo stalking anche colui che tormenta la vittima alla quale è legata per via della presenza di figli. In un’ipotesi del genere, la condotta dell’ex partner, se idonea a integrare gli elementi tipici del reato di atti persecutori, è illecita e non giustificata dal fatto che le insistenze e le pressioni siano finalizzate a vedere la prole. Quando vedere il figlio è stalking? Scopriamolo insieme.
Quando è stalking?
Secondo il Codice penale, è punito con la reclusione da un anno a sei anni e mezzo chi, con condotte ripetute, minaccia o molesta qualcuno, in modo da provocare alla vittima un perdurante e grave stato di ansia o di paura, oppure un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto, ovvero da costringere la stessa a modificare le proprie abitudini di vita.
Dunque, lo stalking si concretizza nel porre in essere almeno due condotte moleste o minacciose in un breve arco di tempo, che siano in grado di provocare nella vittima una delle conseguenze sopra viste, e cioè:
- un continuo e grave stato di ansia o di paura;
- un fondato timore per l’incolumità propria, di un prossimo congiunto o di persona a cui si è legati da una relazione affettiva;
- l’alterazione delle proprie abitudini di vita.
Stalking aggravato: cos’è?
Esistono casi in cui lo stalking è punito in maniera più severa rispetto alla pena base illustrata nel paragrafo precedente.
Per legge, la pena è aumentata se il fatto è commesso:
- dal coniuge, anche separato o divorziato;
- da persona che è o è stata legata alla persona offesa da una relazione affettiva;
- attraverso strumenti informatici o telematici;
- a danno di un minorenne, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità;
- con armi o da persona travisata.
Sin d’ora, è dunque evidente che, se il genitore separato dovesse commettere stalking adducendo il pretesto di voler vedere il figlio, verrebbe condannato più severamente, a titolo appunto di stalking aggravato, visto che la vittima sarebbe presumibilmente una persona con cui ha avuto una relazione affettiva, anche in assenza di un formale matrimonio.
Stalking: come si denuncia?
Lo stalking è un reato procedibile a querela di parte; ciò significa che, affinché le autorità possano procedere nei confronti del colpevole, occorre che sia la vittima a sporgere querela, non altri.
Il termine per querelare è di sei mesi che decorrono dall’ultimo atto persecutorio posto in essere dal reo.
Eccezionalmente, lo stalking è procedibile d’ufficio, e pertanto chiunque può sporgere denuncia alla polizia giudiziaria, se il fatto è commesso:
- nei confronti di un minore;
- nei confronti di una persona con disabilità;
- unitamente a un altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio (ad esempio, il reato di sostituzione di persona).
Quando è stalking voler vedere i figli?
Secondo la Corte di Cassazione, lo stalker non può usare come alibi il figlio nato dalla precedente relazione sentimentale con la vittima.
Nel caso affrontato dalla Suprema Corte, era accaduto che un uomo si rendeva protagonista di appostamenti nei pressi dell’abitazione e del luogo di lavoro della sua ex compagna e madre di suo figlio, cui seguivano urla e aggressioni verbali al suo indirizzo, un insistente suonare al citofono e al campanello di casa, nonché telefonate invadenti, minacce e tentativi di contatti fisici, tanto da cagionarle un grave stato d’ansia e paura.
Secondo l’imputato, però, non c’erano i presupposti per ritenere configurabile il delitto di atti persecutori: a suo avviso, infatti, egli aveva agito con insistenza per tentare di fare visita al figlio dal momento che la madre glielo impediva.
Secondo la tesi difensiva, dunque, l’imputato non aveva inteso perseguitare l’ex compagna, in quanto i suoi comportamenti erano dettati dalla necessità di esercitare la propria responsabilità genitoriale sul minore.
Sempre a parere della difesa, i dissidi tra imputato e vittima erano riconducibili alla gestione del figlio e al versamento del contributo economico per il suo mantenimento, che, quando omesso, provocava ripicche da parte della donna che gli impediva di vedere il bambino.
Secondo la Corte di Cassazione, le ragioni che hanno spinto l’autore della condotta ad agire sono irrilevanti. In altre parole, non conta il movente di chi perseguita un’altra persona.
Ne deriva che la legittima (e, anzi, doverosa) aspirazione di un genitore a occuparsi delle necessità di un figlio non può di per sé escludere la rilevanza penale di comportamenti inquadrabili nelle fattispecie di stalking.
In pratica, la Corte di Cassazione ha stabilito che, in caso di genitori separati, è comunque stalking perseguitare l’ex partner, anche se il fine è quello di poter esercitare la propria responsabilità genitoriale sulla prole.