Negli ultimi anni hai avuto degli screzi con tuo padre. La cosa ti dispiace, e fai fatica ad accettarla. Continui a volere bene al tuo genitore; ma le vostre divergenze di vedute su questioni familiari importanti hanno scavato tra di voi un solco molto profondo. La stessa cosa non è successa a tuo fratello, che mostra acriticamente solidarietà con vostro padre, qualunque cosa faccia. Così, nel tempo, è diventato il suo punto di riferimento e il suo figlio prediletto. Ne hai parlato con tuo fratello, tra di voi è nata una discussione, e lui ti ha detto – pentendosene dopo – che vostro padre sta per intestargli ogni sua proprietà. Questa ti sembra una grande ingiustizia, non tanto per il valore dei beni che perderesti, ma soprattutto per il significato profondo della scelta di tuo padre. E’ un po’ come affermare di avere un figlio soltanto. Ti viene il dubbio che la legge non lo consenta, ma ti vergogni a chiedere a un avvocato “Mio padre vuole intestare tutto a mio fratello, può farlo?”. Prima o poi dovrai vincere la riluttanza a rivolgerti a un legale; ma nel frattempo, troverai in questo articolo le risposte che ti servono.
Un genitore può intestare tutti i suoi beni a un figlio soltanto? In linea di principio, sì. Infatti, nessuna norma gli vieta di compiere un atto con il quale disporre delle proprie sostanze. Questa ampia disponibilità rientra nel concetto di proprietà, come è delineato dal nostro ordinamento giuridico. La proprietà è un diritto che consente di:
- godere delle proprie cose, quindi utilizzarle nel modo più ampio possibile;
- disporre delle proprie cose: quindi donarle, farne oggetto di disposizioni testamentarie, venderle, costituire su di esse diritti altrui (come l’usufrutto, la servitù e altri), darle in affitto, darle in uso ad altri gratuitamente;
- godere e disporre, comunque, in modo conforme alla legge. Quest’ultima stabilisce dei limiti all’esercizio del diritto di proprietà (ad esempio: non è possibile utilizzare un proprio immobile per svolgervi attività illecite; non è consentito produrre all’interno del proprio immobile rumori o altre emanazioni che superino la normale tollerabilità da parte dei vicini, ecc.), e pone degli obblighi a carico del proprietario (ad esempio, quello di pagare le tasse, o di partecipare alle spese condominiali).
La legge non pone al proprietario limiti per gli atti di disposizione dei propri beni, che favoriscano un figlio piuttosto che un altro. Ne deriva che egli può privilegiare un figlio soltanto, donargli tutti i suoi averi, oppure fare testamento in suo favore.
Tuttavia, dopo la sua morte, gli altri figli sono liberi di decidere se accettare la volontà del genitore, oppure reclamare una quota delle proprietà dello stesso, che, in base alle norme che regolano le successioni, sarebbe loro spettata. Tra poco vedremo come.
Come un genitore può intestare tutto a un figlio soltanto
Un genitore, che ha più figli, può dunque intestare tutto a uno solo di essi. Può farlo essenzialmente in due modi:
- con una donazione;
- con un testamento.
La donazione – che deve avvenire quasi sempre da un notaio, a pena di nullità – è un atto con il quale un soggetto trasferisce dei diritti ad altri, senza ricevere nulla in cambio.
Quando non si vuole far capire a terze persone che quella che si pone in essere è una donazione, si può ricorrere a due espedienti:
- la donazione indiretta. Si tratta di un contratto che, pur non apparendo all’esterno come una donazione, ne raggiunge gli effetti. Un modo molto frequente per realizzare una donazione indiretta è stipulare una vendita, in cui vi è notevole sproporzione tra il valore del bene venduto e il prezzo. Ordinariamente, la vendita ha lo scopo di realizzare uno scambio tra un bene e il suo valore in denaro. Nella donazione indiretta, invece, il contratto stipulato ha lo scopo di raggiungere, indirettamente e grazie a questa sproporzione, una finalità ben diversa: arricchire la parte cui viene trasferita la proprietà del bene. Ad esempio, Tizio vende a Caio un appartamento, del valore di 150.000 euro, al prezzo di 1000 euro. Così facendo, praticamente glielo regala;
- la donazione dissimulata o vendita simulata. In questo caso, le parti stipulano apparentemente una vendita, con l’accordo segreto che l’acquirente non ne pagherà il prezzo, perché la vera volontà è quella di porre in essere una donazione. Ad esempio, Tizio vende a Caio un immobile per il prezzo di 200.000 euro. Il pagamento non avviene subito, ma le parti si accordano per una data successiva al contratto. Segretamente, però, Tizio e Caio stipulano un accordo, nel quale si dice che in realtà il prezzo non verrà versato.
Il testamento è un atto con il quale un soggetto dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutti i suoi averi o di parte di essi. Esso può essere di tre tipi:
- olografo. E’ il testamento che viene redatto dal testatore su un qualunque foglio di carta, di suo pugno, datato, sottoscritto e poi conservato. Dopo la sua morte, verrà trovato da qualcuno e portato da un notaio, che lo leggerà, chiamerà gli eredi e lo pubblicherà, facendo sì che esso produca effetti legali;
- segreto. E’ un testamento redatto allo stesso modo del precedente; il testatore però, anzichè lasciare che chiunque lo trovi, lo deposita in busta chiusa presso un notaio, che lo pubblicherà alla sua morte;
- pubblico. E’ il testamento dettato dal testatore a un notaio, che attesta come vero ciò che il soggetto ha disposto e custodisce il documento fino alla morte dell’interessato.
Nel testamento il testatore può disporre dei suoi beni in due modi:
- mediante l’attribuzione di quote ereditarie. L’erede subentra nel patrimonio di una persona per la totalità (viene detto in tal caso erede universale) o per quote (ad esempio, 1/2, 2/3, e così via). Ad esempio:”Lascio a mio figlio Luigi 1/3 del mio patrimonio”.Se vi sono più eredi, si effettuerà tra loro una divisione del patrimonio del defunto (detto de cuius, ossia il soggetto della cui eredità si tratta). A seguito della divisione, a ciascun erede spetteranno più beni, di valore pari alla quota di pertinenza;
- mediante i legati. Con il legato non si diventa eredi, ma solo titolari di un diritto specifico (ad esempio: “Lascio l’appartamento di via Garibaldi a mio figlio Luigi”; lascio il quadro di Picasso a mia figlia Francesca”).
Il fatto che il genitore, finchè è in vita, abbia ampia facoltà di disporre dei propri beni, non costringe però i figli che sono stati esclusi da questi atti di disposizione a rinunciare ai loro diritti. potrebbe esservi, infatti, una lesione di legittima: vediamo di cosa si tratta.
I legittimari e la lesione della legittima
Sono detti legittimari coloro che, alla morte di una persona, hanno diritto a una quota del suo patrimonio, anche contro la volontà del defunto. Essi non vanno confusi con gli eredi legittimi, che sono coloro che acquistano la qualità di eredi di una persona quando non vi è testamento, o quando il testamento dispone solo parzialmente del patrimonio del de cuius.
I legittimari sono la moglie, i discendenti in linea retta (prima i figli e, in mancanza, i nipoti), gli ascendenti in linea retta (prima i genitori e, in mancanza, i nonni). Ecco come si ripartiscono tra loro le quote di legittima:
- se vi è un solo figlio, gli spetta 1/2 del patrimonio delde cuius;
- se vi sono più figli, spettano loro complessivamente i 2/3, ovviamente ripartiti in misura uguale tra loro;
- se vi sono solo gli ascendenti, spetta loro 1/3;
- se vi è solo il coniuge, gli spetta 1/2;
- se vi sono il coniuge e un figlio, spetta loro 1/3 ciascuno;
- se vi sono il coniuge e più figli, al coniuge spetta 1/4, ai figli 1/2;
- se vi sono il coniuge e gli ascendenti, senza figli, al coniuge spetta 1/2, agli ascendenti 1/4.
I figli, quindi, concorrono solo con il coniuge, se vivente al momento della morte del de cuius, ed escludono tutti gli altri parenti. La quota che rimane “libera” è detta disponibile: è quella porzione della quale il defunto avrebbe potuto liberamente disporre, con donazione o con testamento. Facciamo un esempio. Muore Tizio, lasciando la moglie e due figli. Ai figli spetterà complessivamente 1/2 del patrimonio ereditario: quindi 1/4 ciascuno. Alla moglie spetterà 1/4. Resta libera una quota di 1/4, che è la disponibile, quella che il de cuius avrebbe potuto destinare a chi voleva.
Per calcolare esattamente la quota disponibile, occorre innanzi tutto stabilire la massa ereditaria, che è costituita dal patrimonio che il defunto ha lasciato alla sua morte, più il valore di eventuali donazioni effettuate in vita (c.d. riunione fittizia). Da questo valore occorre poi sottrarre quello corrispondente alle quote spettanti ai legittimari; quello che resta è la quota disponibile. Se, facendo questa sottrazione, si rileva che il de cuius ha disposto dei suoi beni andando oltre la quota disponibile, mediante donazioni o disposizioni testamentarie in favore di persone diverse dai legittimari, si ha lesione di legittima.
Vediamo, in pratica, come funziona questa regola. Tornando all’esempio di prima, Tizio lascia un patrimonio che vale 100. Durante la sua vita, ha effettuato donazioni per 60. Per calcolare la quota disponibile, si somma ciò che è rimasto con ciò che è stato donato: quindi 100 + 60 = 160. Abbiamo detto che Tizio lascia la moglie e due figli. Poichè, come abbiamo visto, la quota disponibile è di 1/4, essa corrisponderà a 40 (1/4 di 160 = 40). Quindi Tizio avrebbe potuto effettuare donazioni fino a un valore di 40: andando oltre, ha intaccato la quota disponibile e leso la legittima.
Il rimedio concesso ai legittimari prende il nome diazione di riduzione, cui può seguire l’azione di petizione di eredità.
L’azione di riduzione da parte dei legittimari
Si tratta di un’azione concessa al legittimario dalla legge. Egli può rivolgersi al Tribunale, per ottenere la dichiarazione di inefficacia delle disposizioni testamentarie o delle donazioni, allo scopo di reintegrare la quota di legittima spettantegli.
Per vincere la causa, occorre dimostrare la propria qualità di legittimario, e il fatto che le donazioni o le disposizioni testamentarie abbiano leso la quota di legittima. Se la donazione, o le donazioni, sono state effettuate ricorrendo all’espediente della donazione indiretta o della simulazione, occorrerà darne dimostrazione.
L’azione può essere esercitata anche dagli aventi causa dei legittimari (ad esempio, in caso di morte dell’avente diritto, dai figli o dai nipoti).
Essa si prescrive in dieci anni. Questo termine decorre:
- se la lesione è stata causata da una donazione, dal giorno dell’apertura della successione. Esso coincide, in sostanza, con la data di morte del de cuius;
- se è stata causata da una disposizione testamentaria, dall’accettazione dell’eredità. Infatti, alla morte del de cuius, le persone che dovrebbero essere, per legge o per testamento, suoi eredi, non hanno ancora acquisito questa qualità. Essi si dicono “chiamati” all’eredità; divengono eredi solo con l’accettazione, che è un atto formale con il quale l’erede dichiara di voler subentrare nella quota del patrimonio del defunto che gli compete. La norma ha una sua giustificazione: diventare erede di una persona comporta acquisirne non solo le ricchezze, ma anche, se vi sono, i debiti; quindi non si può costringere nessuno ad accettare, si deve trattare di una libera scelta, se la si reputa conveniente.
Il Tribunale, innanzi tutto, considererà le disposizioni testamentarie; se, dichiarando inefficaci solo queste, non si ripristina la quota di legittima, si prendono in considerazione le donazioni effettuate in vita dal de cuius.
Gli atti lesivi della quota di legittima vengono dichiarati inefficaci dal Tribunale.
L’azione di restituzione
In caso di esito positivo dell’azione di riduzione, il legittimario potrebbe aver necessità di un’ulteriore azione per entrare in possesso della quota di eredità spettantegli. Si tratta dell’azione di restituzione.
Ciò sarà necessario, nel caso in cui i beneficiari di donazioni o di disposizioni testamentarie lesive della legittima non restituiscano spontaneamente all’erede legittimario i beni ricevuti. Spesso l’azione di restituzione viene esercitata dai legittimari congiuntamente a quella di riduzione, nello stesso processo: esse vanno tenute perà ben distinte. In questo caso, l’erede legittimario si rivolge al Tribunale esercitando due azioni insieme:
- quella di riduzione, che mira ad accertare se il de cuiusha compiuto degli atti di disposizione dei propri beni (mediante donazione o testamento) lesivi della quota di legittima. Nel caso in cui si accerti che tali atti di disposizione hanno ecceduto la quota disponibile, il Tribunale li dichiara inefficaci;
- quella di restituzione, che mira, una volta dichiarata l’inefficacia degli atti lesivi della legittima, ad ottenere la condanna dei beneficiari di tali atti alla restituzione dei beni che ne formano oggetto.
Se i beni donati dal de cuiussono trati nel frattempo trasferiti a terzi, l’erede innanzi tutto avrà diritto ad ottenere dal donatario il loro equivalente in denaro; se il donatario non dispone di risorse sufficienti, avrò diritto ad ottenere la restituzione dai terzi aquirenti.
Diritti ereditari dei figli e indegnità
C’è un caso in cui un figlio, cui spetterebbe una quota di legittima, può essere legalmente escluso dall’eredità. Si tratta dell’indegnità: ciò avviene quando il figlio (o un altro potenziale erede) abbia commesso degli atti così gravi ai danni del de cuius, da renderlo indegno di ricevere i suoi beni. La legge stabilisce che è indegno chi:
- ha ucciso, o tentato di uccidere, il de cuius, oppure il coniuge, o un discendente, o un ascendente dello stesso, oppure ha commesso un altro grave fatto in danno di una di queste persone, per il quale è prevista una pena analoga a quella dell’omicidio
- ha calunniato una di tali persone, denunciandola per un reato punibile con l’ergastolo o con la reclusione per un tempo non inferiore nel minimo a tre anni;
- ha indotto il de cuius, usando violenza o inganno, a fare, revocare o mutare il testamento, o glielo ha impedito;
- ha distrutto, nascosto o alterato il testamento;
- ha redatto un testamento falso, oppure ha utilizzato un testamento falsificato da altri, sapendolo non autentico.
Quali sono le conseguenze dell’indegnità nel caso che ci interessa? Se un genitore lascia tutto a un figlio escludendo l’altro, se quest’ultimo si trova in una delle ipotesi sopra menzionate non può reclamare la sua quota di legittima: è escluso dall’eredità.
Quello che ti ho fin qui detto spiega la ragione per la quale, pur ledendo potenzialmente gli interessi dei legittimari, una persona finchè è in vita può disporre dei propri beni con la massima libertà. Infatti, il patrimonio di una persona non è qualcosa di fisso e immutabile: finchè il suo titolare non muore, esso può aumentare o diminuire. Può essere che un genitore lasci tutto a un figlio, ledendo così i diritti di eventuali altri figli; ma può anche accadere – in linea teorica – che poco prima della sua morte il patrimonio aumenti per circostanze imprevedibili, per cui ciò che rimarrà dopo la sua morte soddisferà ampiamente i legittimari. Per questo la legge non impedisce questi atti di disposizione: dopo la morte del de cuius, si effettueranno i calcoli necessari ai legittimari per far valere le loro ragioni; a meno che, ovviamente, non ricorra un caso di indegnità.