Solo se c’è violenza o minaccia, mandare via di casa una persona, anche se ospite o convivente, è reato.
Hai ospitato il tuo compagno a casa tua. Si è trasferito e ora vive con te da diversi mesi. L’unione non ha mai presentato problemi fino a quando non hai scoperto, sul suo cellulare, che ha una relazione con un’altra donna. Dopo averlo messo con le spalle al muro e averlo accusato del tradimento, lo hai sbattuto fuori di casa, intimandogli di non farsi mai più vedere. Gli hai anche lasciato una valigia sul pianerottolo con tutti i suoi vestiti e la biancheria. Dentro casa sono rimasti degli oggetti più pesanti, un computer e una televisione che aveva comprato coi suoi soldi. Il fatto però che lui abbia ancora le chiavi di casa non ti fa dormire tranquilla e temi che, da un momento all’altro, possa fare irruzione e magari picchiarti. Così, solo allo scopo di tutelare la tua sicurezza, decidi di cambiare la serratura di casa. Senonché lui, per tutta risposta, ti fa scrivere dal suo avvocato che ti diffida dal riaprire la porta al convivente per concedergli il tempo di trovare, nel frattempo, un’altra sistemazione visto che non ha la possibilità di andare a dormire in hotel. In caso contrario ti denuncerà. A te sembra assurdo dover sottostare a una simile richiesta: mandare via di casa il convivente è reato oppure è un diritto sacrosanto che può riservarsi il proprietario dell’abitazione? La risposta è stata fornita ieri dalla Cassazione. Ecco qual è stato il chiarimento della Suprema Corte.
Il codice penale stabilisce che chiunque «turba, con violenza alla persona o con minaccia, l’altrui pacifico possesso di cose immobili, è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa da 103 euro a 309 euro». Dunque, cambiare la serratura della porta di casa per non farvi più rientrare il convivente costituisce un illecito penale. In particolare si tratta di «turbativa del possesso di cose immobili». Il punto però è se questo reato si applica solo nei riguardi del comproprietario (ad esempio il coniuge in comunione dei beni) o anche nei confronti di chi è un semplice ospite, come ad esempio il convivente. La Corte distingue le situazioni di una convivenza occasionale, di pochi giorni, e quella invece stabile che crea un affidamento su un domicilio dove stare e di un tetto sotto cui ripararsi. Solo in questo secondo caso il proprietario dell’appartamento – fermo comunque il suo diritto di intimare all’ospite di trovarsi un’altra abitazione – non può sbattere l’estraneo fuori di casa e cambiare le chiavi della porta per impedirgli l’accesso. Deve sempre concedergli un lasso di tempo adeguato per trovare una nuova sistemazione.
Dunque il reato di «turbativa del possesso di cose immobili» non presuppone che la vittima abbia necessariamente un diritto di proprietà – anche per semplice quota – sul bene, ben potendo verificarsi l’illecito anche nei casi di “compossesso”, di chi cioè abitualmente vive nell’appartamento pur non vantando su di esso alcuna titolarità.
Altro elemento importante: la turbativa, per assumere rilevanza penale, deve essere posta in essere con violenza alla persona o minaccia. Quindi, il semplice invito ad andare via – anche se intimato a gran voce – non costituisce illecito penale. Lo diventa se accompagnato con fatti come il lancio di piatti e bicchieri o altri oggetti, o ancora il cambio delle chiavi della serratura della porta d’ingresso.
Statisticamente, ad andare via di casa tocca all’uomo che, con la coda tra le gambe, viene bruscamente cacciato da casa. La causale più frequente è, tutti lo sanno, la scoperta di un tradimento. Ma, anche quando le ragioni sono le più sacrosante e legittime, è sempre bene trovare una soluzione pacifica, che consenta quantomeno di evitare rogne ben peggiori come una denuncia. La parte spossessata del proprio “letto” infatti potrebbe andare dai carabinieri e sporgere una querela contro il titolare dell’immobile, ottenendo così la possibilità di far ritorno a casa.