Per la Cassazione, il figlio va affidato in via esclusiva al padre se la madre non rispetta il diritto del minore alla bigenitorialità ed è incapace di ascoltare i bisogni del minore
Figlio al padre se la madre ostacola la bigenitorialità
Affido super esclusivo al padre se la madre non si dimostra collaborativa e nonostante le varie occasioni e la fiducia accordata continua a tenere un atteggiamento ostile finalizzato a impedire il rapporto padre e figlio. Il giudice nel caso di specie non ha deciso facendo proprie le conclusioni sulla PAS della CTU, ma solo sulla base della condotta della madre, totalmente incentrata su di sé e incapace di ascoltare e comprendere i bisogni del minore. Questo quanto emerge dall’ordinanza n. 25339/2021 della Cassazione.
La vicenda processuale
Il Tribunale di Venezia assegna in via esclusiva un figlio al proprio padre, attribuendo allo stesso la responsabilità per le decisioni più importanti relativamente alla sua educazione, istruzione e salute e pone a carico della madre l’obbligo di corrispondere 250 euro mensili a titolo di contributo al mantenimento del minore, a cui vanno aggiunte le spese straordinarie nella misura del 50%, con l’obbligo dei servizi sociali di sostenere e vigilare, fissando un calendario di incontro tra i genitori in uno spazio protetto. Per il Tribunale la madre ha dato prova di non comprendere i bisogni del figlio e di non assumere decisioni nel suo interesse.
Il decreto ha modificato l’assetto precedente deciso in sede di Appello, nel corso del quale la CTU ha rivelato che la condotta della madre è finalizzata a impedire ogni rapporto tra il minore e il padre. La Corte ha mantenuto la collocazione presso la madre, con affidamento del bambino ai servizi sociali, confidando in una maggiore collaborazione della donna. Il padre però ha promosso un nuovo procedimento lamentando l’estromissione dalla vita del figlio ad opera della ex.
La donna si è opposta al predetto decreto del tribunale, ritenendo inaffidabile la teoria scientifica sulla figura del “genitore alienante”, lamentando l’inadeguatezza della motivazione in relazione alla sua inidoneità ad educare il figlio e la mancata valutazione dello stato psicologico del minore ed evidenziando la rigidità assunta dai servizi sociali e dal CTU nei suoi confronti.
La Corte d’Appello da parte sua ha respinto il reclamo, osservando che il giudizio è stato condizionato dall’atteggiamento della donna, che non si è attenuta alle indicazioni dei servizi sociali e del CTU, ostacolando il rapporto padre figlio. Dalla relazione dei servizi sociali è emersa infatti una accentuata autoreferenzialità della donna incapace di comprendere le necessità del figlio.
Per la madre il giudizio si fonda sulla teoria della “PAS”
La madre, nel ricorrere in Cassazione, solleva tre motivi di doglianza.
Con il primo lamenta la violazione del contraddittorio perché il Tribunale si è attenuto acriticamente alle conclusioni della CTU ai fini della decisione, senza considerare le critiche sollevate in ordine alla totale assenza di fondamento scientifico della diagnosi di PAs e le varie denunce di violenza presentare contro l’ex. La CTU inoltre ha trascurato gli interessi del minore concentrando la propria attenzione sui concetti di buona genitorialità, conflitto di lealtà e alienazione parentale.
Con il secondo motivo fa presente che non è stato preso in considerazione il fatto che la stessa non ha problemi psichici, che è molto legata al figlio, che per i primi dieci anni di vita lo ha cresciuto da sola nel totale disinteresse paterno e che non è stata data idonea motivazione sul fatto che l’affidamento esclusivo costituisca l’unica soluzione per tutelare l’interesse del minore.
Con il terzo infine fa presente che il minore non è mai stato ascoltato, soprattutto se si considera che i servizi sociali non hanno mai verbalizzato le sue dichiarazioni.
Il figlio va al padre perché la madre non tiene conto dei bisogni del minore
La Cassazione adita però rigetta il ricorso dopo l’esame congiunto dei primi due motivi, dichiarati inammissibili e la dichiarata infondatezza del terzo.
Gli Ermellini chiariscono immediatamente che il provvedimento impugnato non è stato emesso senza una valutazione critica della CTU, non potendo il giudice decidere senza verificare prima il fondamento scientifico di una consulenza, se questa si allontana dalla scienza medica ufficiale.
Nel caso di specie in ogni caso è evidente che la decisione non si fonda acriticamente sulla teoria della PAS, ma sulla condotta ostile e poco collaborativa della donna con i servizi sociali e con il CTU nonostante la fiducia accordata alla stessa in diverse occasioni.
Il percorso si è concluso infatti con un giudizio di autoreferenzialità della donna, incapace di comprendere i bisogni del figlio e di superare la conflittualità con l’ex compagno.
Per quanto riguarda poi il terzo motivo, vero che il giudice era obbligatorio nel caso di specie ascoltare il minore. Il giudice però, nel rispetto di quanto previsto dalla legge, non lo ha disposto perché ha lo ritenuto superfluo a causa della elevata conflittualità dei genitori e per il timore di gravare il minore di responsabilità che non gli competono alla sua età, come emerso dalla CTU, che ha manifestato tutta la sua contrarietà a un coinvolgimento del ragazzino nel conflitto in atto.