Eredità: che succede se un contitolare svuota il conto?

I prelievi fatti da un cointestatario dopo la morte dell’altro non possono essere opposti alla banca, ma resta la possibilità di agire contro il responsabile.

Succede di frequente: alla morte di una persona, il cointestatario del conto corrente preleva tutta la somma e lascia gli eredi a bocca asciutta. La banca gli consente di farlo, se il conto è a firma disgiunta e se non è stata ancora informata del decesso, altrimenti il conto viene congelato. Ma allora in caso di eredità, che succede se un titolare svuota il conto? Gli eredi lesi hanno ancora qualche spazio di azione e, precisamente, possono agire in sede civile contro chi ha eseguito i prelievi arbitrari ed anche in sede penale, sporgendo una querela per appropriazione indebita se il responsabile ha agito con dolo e, dunque, ci sono gli estremi di questo reato.

Per la Cassazione (sentenza n. 7682/21 del 19.03.2021), invece, la banca non è responsabile e non è tenuta a risarcire gli eredi quando il contitolare, dopo la morte dell’altro, ritira l’intero deposito in giacenza senza averli informati di tale operazione. Questo non vuol dire però che l’erede non possa agire contro chi si è appropriato della sua quota senza averne diritto: bisogna cioè puntare contro chi ha ritirato le somme dal conto corrente cointestato e non contro l’istituto di credito che legittimamente ha acconsentito al prelievo.

Conto corrente cointestato: come funziona

Il conto corrente cointestato è quello in cui gli intestatari sono più di uno. Ciascuno è comproprietario di una quota “ideale” corrispondente alla sua frazione, ma può validamente effettuare operazioni per l’intero importo se il conto è a firme disgiunte. La regola base è che il cointestatario (se il rapporto è acceso a nome di due persone) può disporre soltanto del 50% della somma giacente (che si riduce a 1/3 se i cointestatari sono 3, ¼ se sono 4, e così via): si presume cioè una contitolarità in pari quote per ciascuno.

Soltanto se chi ne ha interesse dimostra che la cointestazione era fittizia – ad esempio, perché il rapporto era alimentato esclusivamente da uno dei contitolari e non dagli altri – chi ha prelevato senza averne titolo dovrà restituire le somme. In tal caso, occorre dimostrare la simulazione della cointestazione del conto, che in realtà nascondeva una donazione di denaro al cointestatario apparente. Se non si riesce a fornire tale prova, tornerà ad avere vigore la regola base e gli eredi potranno pretendere soltanto la quota di contitolarità del conto spettante al defunto e non l’intero importo.

I prelievi effettuati prima del decesso

Se le operazioni bancarie sono state compiute prima della morte del de cuius (il defunto del quale i suoi successori vantano il diritto all’eredità), ci sono poche possibilità per gli eredi di recuperare il denaro, tranne che nei casi di circonvenzione di incapace (si pensi ad un anziano circuito dalla propria badante) o altri simili illeciti; altrimenti si presume che i movimenti siano stati autorizzati, anche implicitamente, dal contitolare del conto e allora i prelievi operati prima del suo decesso dal cointestatario di regola non confluiscono nell’asse ereditario.

L’eccezione a tale regola è che se le somme non erano state spese ma erano affluite su un altro conto corrente o deposito bancario, quell’operazione si considera per legge come una donazione e allora diventa aggredibile agli eredi se essi dimostrano che è stata lesa la loro quota di legittima, cioè la percentuale minima indisponibile del patrimonio del defunto, che non può essere decurtata. Se ciò avviene, ci sono 10 anni di tempo per contestare le operazioni e far valere i propri diritti, attraverso un’apposita azione legale chiamata “riduzione di legittima”. .

I prelievi effettuati dopo il decesso

Il principio generale secondo cui nei rapporti interni tra i cointestatari di un conto corrente, con pari facoltà disgiunte, le quote di rispettiva proprietà della giacenza si suddividono, mentre nei rapporti con la banca ciascuno può disporre anche dell’intero importo, valgono anche per il caso dei prelievi effettuati dopo il decesso, con le seguenti particolarità.

Se uno dei cointestatari rimasti in vita esegue prelievi dopo la morte dell’altro contitolare, la banca non può impedire l’operazione se non ha avuto ancora notizia del decesso. Dunque, si verifica una situazione, apparentemente paradossale, secondo cui l’erede legittimo non può disporre delle somme sul conto sino a quando non avrà dimostrato la propria qualità, presentando la denuncia di successione, mentre il cointestatario, anche se non è erede (pensa al caso di un socio, un convivente di fatto o un amico) può continuare ad operare sul conto, al limite anche prelevando tutto e così prosciugando l’intero importo giacente. Tra poco, vedrai che esiste un parziale rimedio per questo fenomeno.

Quando la banca non è responsabile dell’ammanco

Nella sentenza cui abbiamo accennato all’inizio, la Corte di Cassazione ha affermato a chiare lettere che in questi casi è inutile prendersela con la banca, che non deve risarcire gli eredi dell’ammanco: la possibilità del correntista di operare in maniera disgiunta esime infatti l’istituto di credito da qualsiasi responsabilità al riguardo.

Nel caso esaminato dai giudici di piazza Cavour, due sorelle avevano agito in giudizio per essere reintegrate nelle loro quote di legittima dal convivente della loro madre defunta, che aveva con lei un conto cointestato, e dalla banca che aveva acconsentito a fargli prelevare le somme. Il tribunale e la Corte d’Appello hanno rigettato la domanda rivolta contro l’istituto di credito e, infine, anche la Cassazione ha confermato la decisione così respingendo definitivamente il ricorso delle due donne contro la banca.

Anna e Giulia sono figlie di Rosetta, deceduta. La madre aveva un conto cointestato con il suo convivente Franco, che ha prelevato l’intera somma. Le due eredi agiscono per la restituzione della quota loro spettante, ma i giudici respingono il ricorso proposto contro la banca, che non è responsabile dell’accaduto.

Non rileva il fatto che l’uomo, dopo la morte della sua compagna, avesse prelevato l’intera giacenza e la banca non si fosse opposta: per la Suprema Corte, quando il rapporto bancario è intestato a più persone, ciascun contitolare che sopravvive agli altri, fino al momento della chiusura del rapporto, può compiere autonomamente tutte le operazioni consentite dal contratto, fino al punto di chiedere tutto il saldo dei libretti di deposito a risparmi: la banca è obbligata a corrisponderli.

Il blocco del conto corrente cointestato

La banca, insomma, diventerebbe responsabile solo se, a seguito del blocco operato sul conto, consentisse arbitrariamente a qualcuno dei contitolari di prelevare, perché da quel momento ogni operazione deve essere espressamente autorizzata da tutti gli eredi, proprio per evitare che qualcuno dei cointestatari si possa appropriare delle somme senza averne diritto. Per questo è importante che gli eredi diano subito notizia, non appena possibile, del decesso di uno dei contitolari, in modo da congelare il rapporto di deposito sino al momento dell’attribuzione definitiva dell’eredità secondo le quote a ciascuno spettanti.

Cosa può fare l’erede se il conto è stato svuotato

Quanto abbiamo visto finora riguarda soltanto il versante dei rapporti tra i correntisti e la banca, non quello tra ciascun cointestatario del conto e i suoi eredi: essi conservano la possibilità di agire in sede civile e talvolta anche penale contro chi si ha prelevato le giacenze e così si è appropriato delle somme che sarebbero dovute confluire nell’eredità.

Devi sapere innanzitutto che gli eredi hanno diritto di chiedere agli istituti di credito presso i quali il defunto intratteneva rapporti (conti correnti, depositi di somme o titoli, ecc.) gli estratti conto e l’ammontare delle giacenze. Se esaminando questi documenti emergono prelievi anomali da parte del cointestatario, si può anche chiedere alla banca l’indicazione analitica delle operazioni, in modo da capire chi le ha compiute e, se possibile, anche dove sono confluite le somme (ad esempio, su un altro conto corrente attraverso un bonifico) in modo di arrivare a capire chi è il vero beneficiario dell’accredito.

Infatti, la Cassazione ha affermato che la morte di un cointestatario ha l’effetto di rendere i suoi eredi titolari dell’obbligo di rendiconto e la banca non può rifiutarsi di fornire la documentazione necessaria a chi attesti la propria qualità di erede. Dunque, è possibile ricostruire le movimentazioni avvenute sul conto corrente cointestato e sui depositi collegati in modo che gli eredi possano individuare e valutare le operazioni eccedenti il consentito in quanto lesive della loro quota.

Il problema consiste nel fatto che, come hai visto, nel conto a firme disgiunte ciascun correntista ha facoltà di compiere tutte le operazioni. La giurisprudenza ha negato che la banca possa essere considerata responsabile dei prelievi. Così il rendiconto evidentemente arriva a cose fatte: documenta i prelievi che l’altro cointestatario ha già operato. Ma questo vuol dire che l’erede privato delle somme cui avrebbe avuto diritto, in virtù delle quote di legittima o del testamento, rimane senza tutela? No, perché egli conserva sempre la facoltà di agire in giudizio contro l’autore dei prelievi (ed anche nei confronti di chi le somme bonificate sono direttamente confluite) per ottenere la parte di eredità di sua spettanza.

Nei casi più gravi, inoltre, e connotati da dolo (non basta la semplice colpa), l’erede leso dal cointestatario che ha effettuato senza ragione prelievi potrà anche sporgere querela per il reato di appropriazione indebita. Qui, però, c’è un termine ristretto per agire: la querela va depositata entro 3 mesi dalla avvenuta conoscenza del fatto.

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