È garantito l’assegno divorzile alla moglie che si sacrifica per accudire i figli

Per la Cassazione vanno valorizzati l’impegno e il sacrificio della donna che ha sacrificato la carriera per l’accudimento dei figli.

Assegno divorzile alla moglie che rinuncia alla carriera

È ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 13724/2021 con cui si respinge il ricorso del marito che contestava il proprio obbligo di corresponsione dell’assegno divorzile nei confronti dell’ex moglie.
È stato invece valorizzato dalla Corte l’impegno ed il sacrificio che la donna ha portato avanti nel corso degli anni nell’accudimento di un figlio malato e poi deceduto senza ricevere alcun sostegno dal marito.

Il fatto

In primo grado, nel 2013, a seguito del divorzio della coppia, era stato posto a carico del marito un assegno divorzile  di 450 € al mese; la Corte d’Appello aveva confermato questa decisione nonostante una diminuzione del reddito a cui l’uomo era andato incontro sulla base del fatto che la disparità economica tra lui e la moglie continuasse ad essere molto importante. La moglie, infatti, ha sacrificato la propria vita e carriera per la famiglia, per dedicarsi ad un figlio gravemente malato ed è in possesso solamente di un lavoro part-time.

La consistenza del patrimonio immobiliare

Il marito procede dunque con il ricorso per Cassazione adducendo tre motivi:
-“Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, l’omesso esame, ex art. 360 n. 5 c.p.c., di fatti decisivi rappresentato dalla consistenza del patrimonio immobiliare della ex moglie, proprietaria di quota dei due terzi di un immobile, ereditato per successione del figlio (…)”.
– “(…) con il secondo motivo, si lamenta invece la violazione, ex art.360 n. 3 c.p.c., dell’art.5 della l.436/1978 e dell’art.3 Cost., nella determinazione dell’assegno divorzile, non avendo la Corte di merito valutato la situazione economica dei coniugi, anche in relazione alla consistenza immobiliare dei rispettivi patrimoni”.
– “con il terzo motivo, si lamenta la mancata statuizione da parte della Corte distrettuale su un motivo di appello, inerente alla nuova liquidazione delle spese di primo grado (…)”.

Finalità perequativa-compensativa dell’assegno di divorzio

Gli Ermellini ritengono che il primo motivo debba essere considerato inammissibile poiché l’acquisizione dell’immobile da parte della donna a seguito della successione testamentaria “pro quota” dal figlio deceduto non è considerata come una circostanza fattuale decisiva “alla luce della finalità, non solo assistenziale, ma anche perequativa-compensativa dell’assegno divorzile”.
Il secondo motivo viene definito infondato ed a sostegno di tale tesi viene richiamata dalla stessa Corte la sentenza n. 18287/2018, sostenendo come questa chiarisca che: “il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi o comunque dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l’applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto”.

Sulla base di tale sentenza la Cassazione ha ribadito come la decisione precedentemente presa dalla Corte d’Appello di riconoscere un assegno divorzile alla donna fosse del tutto corretta in ragione di ciò che era emerso dalle risultanze delle dichiarazioni dei redditi.
Il terzo motivo viene, invece, accolto dalla Corte che però decide nel merito di respingere il motivo d’appello in materia di liquidazione delle spese processuali e cassa definitivamente il ricorso del marito.

Tabella dei Contenuti