Emergenza Coronavirus: questioni giuridiche e possibili soluzioni in tema di pagamento dei canoni di locazione per gli immobili ad uso commerciale durante il periodo di chiusura
L’emergenza legata al Covid-19, oltre alle drammatiche conseguenze sociali e sanitarie, ha innescato una grave crisi economica delle cui conseguenze potremo renderci pienamente conto solo quando la pandemia cesserà. Tra le categorie più colpite certamente rientra quella delle attività commerciali non essenziali (bar, ristoranti, etc.) alle quali, a seguito dei molteplici interventi dell’Esecutivo, è stata imposta la chiusura. Pertanto, centinaia di migliaia di piccole attività che costituiscono il substrato portante dell’economia italiana, affrontano non soltanto il problema dei mancati introiti ma, sovente, anche quello degli oneri derivanti dal pagamento del pigione e delle eventuali conseguenze connesse a tale mancato adempimento. Al momento gli interventi legislativi in merito non risultano attuare una tutela immediata, d’altro canto, una situazione come quella attuale richiederebbe il ricorso a quel principio di solidarietà sociale, richiamato dalla Costituzione all’art. 2, che dovrebbe imporre una soluzione di buon senso tra le parti.Passando al piano strettamente giuridico della questione, va subito detto che non esistono all’attualità soluzioni nette, pertanto l’esposizione che segue rappresenta solamente una trattazione diretta, soprattutto, a mantenere in vita il rapporto locatizio.
Il principio della “causalità in concreto”
In via preliminare appare necessario porre sotto la lente di ingrandimento il concetto di “causa” ed in modo particolare l’accezione odierna della stessa secondo il principio della “causalità in concreto”. La Suprema Corte di Cassazione ha ormai da tempo abbracciato il rinnovato significato, e conseguentemente rinnovato ruolo, assegnato all’elemento causale Tale nuovo corso è efficacemente riassunto nella massima delle Sezioni Unite secondo cui la causa in concreto si risolve “nella sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare, al di là del modello, anche tipico, adoperato; sintesi, e dunque ragione concreta, della dinamica contrattuale”.
Il superamento del codicistico intendimento della causa quale funzione economico-sociale del negozio consente l’ingresso dei motivi soggettivi all’interno dello schema causale; la causa è in conseguenza ricostruita attraverso la concreta operazione economica realizzata dalla parti, tenendo conto dei motivi oggettivi e soggettivi comuni alle stesse.
Anche in riferimento a quest’ultimo passaggio risulta utile richiamare alcuni ulteriori passaggi ad opera della Corte di legittimità: “la causa in concreto – intesa quale scopo pratico del contratto, in quanto sintesi degli interessi che il singolo negozio è concretamente diretto a realizzare, al di là del modello negoziale utilizzato – conferisce rilevanza ai motivi, sempre che questi abbiano assunto un valore determinante nell’economica del negozio, assurgendo a presupposti causali, e siano comuni alle parti o, se riferibili ad una sola, siano comunque conoscibili dall’altra”.
La destinazione dell’immobile nei contratti di locazione
Il primo passo consiste pertanto nello stabilire se la destinazione allo svolgimento di una specifica attività commerciale (da ritenersi determinante nel complesso dei motivi soggettivi fondanti che spingono il conduttore alla stipulazione), valga a caratterizzare dal punto di vista causale il negozio di locazione.
In realtà non è affatto semplice determinare quando i motivi soggettivi subentrino nella struttura negoziale. Indubbiamente, possono essere presi in considerazioni taluni elementi esteriorizzanti ma, principalmente, abbisognerà verificare se la stessa articolazione contrattuale sia stata plasmata, almeno in parte, intorno ad un certo movente, comune alla parti o unilaterale che sia.
Eppure, nei contratti di locazione ad uso diverso da quello abitativo, la destinazione specifica dell’immobile ad un determinato uso sembra, nella prassi commerciale, caratterizzare in modo evidente il regolamento contrattuale. Si pensi già solo all’immancabile e dettagliata indicazione dell’attività che dovrà essere svolta (raramente ci si limita a indicazioni generiche che, di per sé, sarebbero sufficienti) nonché alle onnipresenti clausole di divieto di mutamento della destinazione d’uso dell’immobile o in ogni caso la necessità del previo consenso del proprietario, alle eventuali garanzie del locatore circa l’idoneità dell’immobile allo svolgimento della specifica attività o alle pattuizioni in materia di ripartizione delle spese per ottenere tale l’idoneità nonché i costi connessi agli eventuali adempimenti amministrativi e legati all’attività da svolgere.
L’interesse circa lo svolgimento da parte del conduttore non di una generica attività commerciale, ma di una specifica attività commerciale ben può essere condiviso dallo stesso locatore, ciò è spiegabile sulla base di circostanze oggettive quali, ad esempio, il diverso grado di usura a cui è sottoposto l’immobile in relazione all’attività da svolgersi, alla diversa disciplina legale prevista (in specie: in tema di durata, avviamento e disdetta per le attività alberghiere, etc.).
Appare pertanto arduo negare che l’assetto degli interessi complessivamente definito risulti non penetrato dai moventi connessi alla specifica destinazione d’uso tanto da caratterizzare, attraverso clausole ormai di impiego comune e non, la struttura negoziale stessa.
D’altronde, sebbene in una diversa fattispecie, la Corte di Legittimità ha già avuto modo di sottolineare il rilievo della causa concreta in materia di locazione: “Estranei alla presupposizione vanno a fortiori tenuti i motivi, quali meri impulsi psichici alla stipulazione concernenti interessi che, rimasti nella sfera volitiva interna della parte, esulano dal contenuto del contratto, laddove se obiettivati divengono viceversa interessi che il contratto è funzionalizzato a realizzare, concorrendo pertanto ad integrarne la causa concreta. Ed anche se essi sono comuni ad entrambe le parti, non viene comunque al riguardo in rilievo l’istituto della presupposizione, giacchè l’interesse comune integra appunto la causa concreta del contratto.” (Cass. Civ. 12235 del 2007).
Ed ancora, in tema di nullità: “La nullità del contratto di locazione, in relazione all’uso convenuto della cosa locata, potrebbe ritenersi sussistere esclusivamente laddove l’attività cui convenzionalmente venga destinato l’immobile locato sia del tutto vietata dall’ordinamento, e lo svolgimento di tale attività possa ritenersi costituire la causa concreta del contratto stipulato, ovvero possa ravvisarsi per tali ragioni una vera e propria originaria impossibilità giuridica dell’oggetto del contratto, il che va escluso laddove l’uso pattuito del bene risulti del tutto lecito nel momento in cui il contratto viene stipulato” (cfr. Cassazione civile sez. III, 19/07/2018, n.19205).
In estrema sintesi, attraverso il concetto di causa in concreto è possibile superare la classica definizione di causalità negoziale che ravvisa la causa del contratto di locazione commerciale aprioristicamente nello scambio tra il godimento di un immobile per lo svolgimento di una qualsiasi attività commerciale consentita dalla legge verso il corrispettivo di un canone in denaro, per giungere invece – attraverso una ricostruzione caso per caso, laddove ciò sia desumibile dal regolamento contrattuale e tenuto conto degli elementi rivelatori indicati poc’anzi – alla ricomprensione dei motivi soggettivi inerenti allo specifico uso commerciale nella sfera causale.