Cosa succede a chi rinuncia all’eredità? Quali sono le responsabilità e le conseguenze?
Un nostro lettore, a cui da poco è morto il padre, ci chiede se chi rinuncia all’eredità deve pagare i debiti del defunto. Il timore è che i creditori si possano rivalere su di lui e sui suoi beni personali.
La risposta è abbastanza semplice e può essere sintetizzata nei seguenti termini.
Chi deve pagare i debiti del defunto?
L’obbligo del pagamento dei debiti del defunto scatta solo a partire dall’accettazione dell’eredità. Prima di questo momento, il creditore non può pretendere alcuna prestazione, né intraprendere azioni giudiziarie, nei confronti dei familiari del de cuius. Questi ultimi, infatti, sono ancora semplici “chiamati all’eredità”, privi di alcun vincolo all’adempimento delle obbligazioni.
La qualità di “erede”, invece, e quindi di soggetto tenuto al pagamento dei debiti, scatta solo con l’accettazione stessa dell’eredità.
Tutto ciò che il creditore può fare nei confronti dei “chiamati all’eredità” è chiedere che il giudice assegni loro un termine più breve – rispetto ai canonici 10 anni previsti dalla legge – per l’accettazione o la rinuncia dell’eredità.
Quali debiti non devono pagare gli eredi
In ogni caso, anche chi accetta l’eredità, non è tenuto a pagare le cosiddette “obbligazioni personali”, quelle cioè che non si trasmettono agli eredi. Si tratta delle sanzioni amministrative, penali o tributarie irrogate al defunto, le multe stradali, gli alimenti e l’assegno di mantenimento, i debiti di gioco o da scommesse.
Al contrario, i familiari che rinunciano all’eredità possono ugualmente ottenere il pagamento della pensione di reversibilità e delle eventuali polizze vita a loro intestate dal defunto.
Chi rinuncia all’eredità deve pagare i debiti del defunto?
La rinuncia all’eredità esclude ogni obbligo di pagamento dei debiti lasciati dal defunto. Pertanto, l’erede rinunciante non può essere chiamato a rispondere dei debiti contratti dal defunto.
Per tale motivo neppure i debiti verso il Fisco – e, in particolare, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate – per omessi versamenti di imposte e tributi possono essere posti a carico dell’erede rinunciante.
La rinuncia può essere esercitata entro 10 anni dal decesso. Essa è tuttavia revocabile, sempre che i 10 anni non siano decorsi; così, chi ha rinunciato all’eredità, può anche cambiare idea e dichiarare di voler accettare l’eredità.
La rinuncia all’eredità non comporta anche la rinuncia ad eventuali legati lascati dalde cuius con il testamento; difatti, la qualità di erede e di legatario sono indipendenti tra di loro. Così, ad esempio, ben è possibile che, dinanzi a un testamento che attribuisca a un soggetto la proprietà di un bene specifico in legato (ad esempio, una casa), quest’ultimo nello stesso tempo rinunci al resto dell’eredità.
Effetti della rinuncia
La rinuncia ha effetto retroattivo, pertanto chi rinuncia all’eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato.
La retroattività non toglie, tuttavia, efficacia agli atti di conservazione e amministrazione che il chiamato ha compiuto prima della rinuncia: tali atti restano efficaci e il rinunciante ha diritto al rimborso delle spese eventualmente sostenute, potendole pretendere da chi accetterà l’eredità.
Il rinunciante ha diritto di trattenere quanto ha ricevuto a titolo di donazione o di legato, sino alla concorrenza della porzione disponibile.
In assenza di un testamento, la rinuncia da parte di uno degli eredi comporta il trasferimento della relativa quota agli altri soggetti chiamati per legge, i quali potranno accettare o meno: si tratta, ad esempio, dei suoi figli.
In particolare:
- se a rinunciare all’eredità è il figlio, il fratello o la sorella del defunto, opera la rappresentazione: pertanto, la relativa quota va ai rispettivi figli o nipoti;
- se a rinunciare all’eredità è un altro erede, diverso cioè dal figlio, dal fratello o dalla sorella del defunto, opera l’accrescimento: pertanto, la relativa quota viene divisa tra tutti gli altri eredi.