La comunione dei beni dà diritto alla comproprietà di un immobile che sorge su un fondo appartenente ad un solo coniuge?
Ti sei mai fermato a pensare che cosa vuol dire essere il proprietario di un bene? Dirai che è semplice: una persona diventa proprietaria di una cosa quando ha pagato per averla, oppure l’ha costruita o inventata. In linea di massima, si potrebbe dire che è così. Ora, però, immagina di avere pagato la tua parte per costruire un immobile e che un giorno arriva qualcuno a dirti che quel bene non è tuo. Resterai stupito, perché sai di averci messo dei soldi. Come può succedere una cosa del genere? E, a questo punto, chi è il proprietario di una casa se non chi ha finanziato le opere per tirarla su e renderla abitabile? Ad esempio: la casa pagata dalla moglie sul terreno del marito, di chi è?
Si potrebbe pensare che la comunione dei beni metta le cose a posto, invece non è così. Secondo una recente ordinanza della Cassazione, il fatto di contribuire economicamente alla realizzazione di un immobile che sorge su un terreno del coniuge non equivale ad avere alcun diritto sulla proprietà. Semmai, dovrà accontentarsi della metà di quello che è stato costruito, in termini di mano d’opera e di materiali. Ma non potrà pretendere di disporre di metà dell’immobile per viverci autonomamente, per affittarlo o venderlo magari dopo averlo diviso. Vediamo di chi è la casa pagata da un coniuge sul terreno dell’altro e che cosa si può reclamare in caso di separazione.
Diritto di proprietà: come funziona?
Abbiamo posto questo quesito in partenza: cosa vuol dire essere proprietario di un bene? In termini tecnici, la proprietà è una situazione giuridica che consente di avere ogni potere su una cosa, anche se questa è subordinata a soddisfare una funzione sociale.
La Costituzione, all’articolo 42, sancisce che la proprietà privata «è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti». Il Codice civile entra più nel dettaglio, spiegando che il proprietario «ha il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico».
Si può diventare proprietario di un bene in due modi:
- senza l’ausilio di terzi, come nel caso di un’invenzione, un’occupazione, l’usucapione, ecc.;
- attraverso il trasferimento del diritto di proprietà, come nella compravendita, la successione o la donazione di una cosa.
Di chi è la casa coniugale?
Venendo al nostro caso, di chi è la casa in cui abitano due coniugi in regime di comunione dei beni? I casi possono essere due.
Il primo riguarda l’ipotesi dell’acquisto congiunto dell’immobile. Ad esempio, una coppia individua una casa di loro piacimento, decide di comprarla ad un terzo, chiede un mutuo in banca e fa il rogito dal notaio. Trattandosi di un bene che è stato acquistato dopo il matrimonio con i soldi e a beneficio di entrambi, la casa è di proprietà di tutti e due.
Ricordiamo che rientrano nella comunione dei beni:
- gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali;
- i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione;
- i proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della comunione, non siano stati consumati;
- le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio.
La seconda ipotesi è quella in cui l’immobile appartenga già in toto o in parte ad uno dei coniugi prima della celebrazione delle nozze. È il caso che si verifica quando un coniuge, dopo il matrimonio, porta l’altro a vivere in un’abitazione di sua proprietà ma anche quando, appunto, la moglie paga la sua parte per costruire la casa familiare sul terreno del marito. O viceversa.
In quest’ultimo caso, secondo la Cassazione (Cass. ord. n. 22193/2021 del 03.08.2021), la moglie non può vantare alcun diritto di proprietà sull’immobile, anche se la coppia è in regime di comunione dei beni. Tutt’al più, precisa la Suprema Corte, potrà incassare in caso di separazione le spese sostenute per pagare la manodopera ed i materiali. Sempre che riesca a provare, fatture o bonifici alla mano, che quei soldi ce li ha messi lei.
Per i giudici di legittimità, chi non possiede il terreno su cui sorge l’immobile non può reclamare un diritto di proprietà o, per meglio dire, di comproprietà sulla casa ma «solo» un diritto di credito che riguarda la metà del valore di ciò che sono costati i materiali ed il lavoro dell’impresa edile, dell’architetto, ecc. A patto – è il caso di ribadirlo – che riesca a dimostrare di avere sostenuto tali spese.
L’ordinanza della Cassazione spiega anche che, al momento dell’acquisto del terreno, si acquisisce ipso iure, cioè per legge, la proprietà della costruzione edificata su di esso. Tale diritto non viene meno con la comunione dei beni.